Ficcasoldi

“E poi c’è il giocatore. Ingenuo. Credulone. Che si seppellisce davanti a quello schermo. Diventano zombie. E per scollarli o arriva la polizia a cercarli o li arrestiamo noi. Li usiamo. Per ripulire, li usiamo. Insert coin si chiamano. In inglese. In italiano: Ficcasoldi.”

Ettorino, un barista, ha accolto nel suo bar diverse slot machines: in tempo di crisi fare solo caffè non è molto retributivo. Qualcuno ritorna spesso, qualcuno è di casa. Un uomo senza nome, per noi Ficcasoldi, vive la deteriorante ascesa della ludopatia, l’erosione dell’autocontrollo, l’impossibilità di venirne fuori, ficcando la sua vita, pezzo dopo pezzo, nella macchinetta infernale. L’ebbrezza del gioco apparirà più fragile dell’altra malattia celata nel bar: un’organizzazione malavitosa gestisce quel business, trasformando le slot in casseforti di denaro da riciclare. Ficcasoldi è uno spettacolo che inquadra, nel particolare, un male universale, quello di una società, vittima di una crisi celebrata, che cede alle lusinghe del “vincere facile”.

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