Chi Niente Fu

Un palazzo senza intonaco, lontano dal centro di un piccolo paese del Sud e dalle vite che ne fanno parte. Un palazzo silenzioso, le vite che ci stanno dentro non fanno rumore. Un palazzo composto da tre appartamenti, in ciascuno una vita silenziosa.
Carmela abita il primo appartamento. Non cammina mai scalza, indossa sempre tre paia di calzini. Niente e nessuno riuscirebbe a vederle, toccarle, sporcarle i piedi. Ha paura di rovinarli, i suoi bei piedi. Sua madre glielo ripeteva sempre: “Attenta ai piedi!”. I piedi, un grande privilegio nella sua famiglia, un altrettanto grande senso di colpa. Avere i piedi costringe all’inerzia, alla solitudine, alla paura di fare passi verso la vita, per un’intera vita. Ma un giorno Carmela comincia a correre.
Per Marino, che abita il secondo appartamento, il mondo, ormai, è finito. Così lui sostiene davanti alla sua platea di bigodini, dove vorrebbe esibire la sua libertà mostruosa ma fallace. Perdere una persona è perdere il mondo, perdere qualcuno è la fine del mondo. Esiliato dalla sua famiglia dopo uno scandalo legato alla “bestia di femminilità” che si porta dentro piegandogli le gambe, incurvandogli la schiena, modellandogli i gomiti, Marino vorrebbe tornare nella sua vera casa, ma per strada nessuno gli parla, tutti lo guardano solo dopo il suo passaggio. E ridono un po’.Elvezia vive nell’ultimo appartamento. Dal sei maggio 1942, non vede l’altra parte del cielo, non ha visto metà della guerra, nella disperazione ammutolita davanti ai bombardamenti. Non vede più l’altra parte, solo una, solo una metà. I rumori allora si fanno più grandi, occorre dare loro un nome. Tutto quello che sta dall’altra parte, che sfugge alla sua vista, tutto quello che le corre di lato prima che possa voltarsi, non ha forma, ma un nome sì. E un giorno Elvezia scopre il nome del rumore nel petto: vede l’amore. Lo vede, ora, per intero.

Share:
@ 2020 Compagnia Ragli - Tutti i diritti riservati