Macbeth

Aut Idola Theatri

Quando si vuole mettere in scena un testo, è necessario scegliere che cosa di quel testo si vuole raccontare.
Del Macbeth abbiamo scelto di raccontare la superstizione: la sua fascinazione, la paradossale razionalità e la tendenza alla ritualità che essa comporta, l’affannosa speranza di una conformità della natura a scopi.
La riflessione parte dall’occasione che viene data a Macbeth dalle tre streghe (Atto 1, scena III): Shakespeare ci ha insegnato tutto attraverso i suoi testi e, in questo tutto, ci ha insegnato, soprattutto, la responsabilità
dell’attore. L’attore si prende la responsabilità dell’interpretazione di ogni singola battuta in un testo. L’attore è autore sul testo. E allora la nostra domanda è la seguente: quale orizzonte di senso si può dare alla battuta:
“Salute a te, che un giorno sarai re”? Ci sono tantissime possibilità e allora proviamo ad assecondare la molteplicità stando nell’indefinitezza, nell’incertezza, nell’impreparazione di senso. Tuttavia Macbeth accoglie
questa battuta in modo molto chiaro e muove l’azione scenica a partire da essa. Macbeth, partendo da qui, astrae e compone creativamente, esattamente come fa la nostra immaginazione davanti all’arte in generale. Quella frase è l’occasione. E allora Macbeth interpreta. A partire da questa interpretazione, abita il suo mondo in modo sempre più creativo, ideale, sovrannaturale. Super-stitio, stare sopra.
Stare in una libertà spaventosa, farsi re, sentire oltre il sentire, vedere e mostrare ciò che non c’è.

Share:
@ 2020 Compagnia Ragli - Tutti i diritti riservati