by Piero Cirino (29/11/2016)
Il Quotidiano del Sud
Grande successo di partecipazione e di consensi per l‟iniziativa dell‟Ipisa – Iti di Acri “Scacco matto alla violenza”, nella giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
L’istituto scolastico ha ospitato “La bastarda”, spettacolo su Lea Gaofalo della Compagnia Ragli di Roma.
Nel pubblico, tra gli altri, venerdì scorso, nel Palazzo Sanseverino-Falocne, c‟erano Marisa Garofalo, sorella di Lea; il Dirigente Scolastico Giuseppe Lupinacci; il presidente della fondazione Padula, Giuseppe Cristofaro; il comendante della Polizia Municipale, Mariateresa Manes.
“L‟assassinio di Lea è stato un un omicidio di „ndrangheta, un femminicidio e un omicidio di Stato – ha detto Marisa Garofalo, emozionata, rispondendo alle domande degli studenti, – perché è stata abbandonata diverse volte dal programma di protezione”. Ai ragazzi ha raccontato diversi momenti della vita di sua sorella e di sua nipote Denise, restituendo l‟immagine di una donna diventata un simbolo.
Il progetto dell‟istituto acrese, che non si ferma alla giornata del 25, è curato dalle professoresse Adele Zanfini e Mariarita Iaconetti, con l‟sausilio dei colleghi Elvira Ferraro, Vincenzo Tucci, Maria Carla D‟Agostino e Concetta Guido.
Nell’allestimento scenografico dei Ragli prima hanno dato scacco matto alla violenza i ragazzi, poi la scena è stata ceduta alla “Bastarda”, interpretata da Dalila Cozzolino, un‟attrice capace di scatenare emozioni, dalla rabbia al dolore. Nel ruolo dell‟uxoricida „ndranghetista Rosario Mastrota, autore e regista; in quello di Floriano, fratello di Lea, Andrea Cappadona. Antonio Monsellato ha interpretato il crudele cognato, anche lui esecutore dell‟omicidio.
“La verità non deve affiorare, deve fiorire”, dice in scena Dalila Cozzolino, che riesce a dare alla vittima di femminicidio e ‘ndrangheta una voce vibrante e profonda, consegnando al pubblico una sorta di manuale della resistenza poetico e indimenticabile. Lea la bastarda, come l‟appellavano i feroci sicari, cancellandone anche il nome e il cognome, bruciata, fatta a pezzi, buttata in un tombino nella periferia di Monza, continua così a raccontare la sua storia.