Il “Ficcasoldi” divorato dalle slot in tempo di crisi

by Claudia Cannella (08/11/2015)

Corriere della Sera – Milano

Da sempre attento alle giovani compagnie, che lì spesso hanno trovato una casa accogliente dove poter lavorare, il Pim Off apre la sezione del cartellone a loro dedicata, domenica e lunedì, con «Ficcasoldi» della Compagnia Ragli, patrocinato dall’Associazione Antimafia del Sud e vincitore del premio Giovani Realtà del Teatro assegnato dalla Civica Accademia Nico Pepe di Udine.
Terzo capitolo di una trilogia sulla «smitizzazione della ’ndrangheta», sorta di risposta allo sguardo pericolosamente ammirato che dell’eroe mafioso danno certi romanzi, serial tv e cinema, «Ficcasoldi» — testo e regia di Rosario Mastrota, interpreti Andrea Cappadona, Dalila Cozzolino e Gianni Spezzano — racconta una vita ai tempi della crisi e dei videopoker. Un tema scottante e quanto mai attuale, quello della ludopatia, che in questi mesi sta tornando prepotentemente alla ribalta sulle scene attraversando i secoli, dalle goldoniane «Donne gelose» al prossimo venturo «Non ti pago» di Eduardo De Filippo, entrambi nelle sale del Piccolo, preceduti e seguiti dalla contemporaneità di «Slot Machine» del Teatro delle Albe all’Ex Pini e da «Io me la gioco» al Verdi.
Segno di corsi e ricorsi storici, dove il gioco d’azzardo è stato ed è «droga» e fasulla soluzione a problemi profondi, complicati dalle ingerenze malavitose nella gestione di un business, che è ormai vera e propria emergenza sociale. Protagonista, nel lavoro di Mastrota, è appunto un «ficcasoldi», in gergo colui che, consegnando la sua vita, moneta dopo moneta, alla schiavitù delle slot machine, si presta al gioco di riciclaggio di denaro sporco operato dalla criminalità organizzata. È un individuo fra i tanti che frequentano il bar di Ettorino, dove quelle macchine tintinnanti aiutano ad arrotondare i magri introiti.
A causa della crisi ha dovuto chiudere il negozio di abiti e ora, complice un appuntamento mancato con un fantomatico cliente in quel bar, l’amicizia con il gestore e una luminosissima slot machine, inizierà la discesa agli inferi della dipendenza dal gioco, quel cedere alle lusinghe del «vincere facile» che ne farà un burattino nelle mani di gente spregiudicata. «Diventano zombie — dice uno di questi —. Li usiamo. Per ripulire, li usiamo. Insert coin si chiamano. In inglese. In italiano: Ficcasoldi». Fino alla tragedia.

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