by Carmine Zaccaro (10/03/2014)
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Non si dica poi che il teatro non serve. Ieri sera al teatro Kopò di Roma è andato in scena lo spettacolo Ficcasoldi, firmato dalla regia di Rosario Mastrota.
La rappresentazione appartiene ad un ciclo di tre storie inserite in un progetto di «smitizzazione della ‘ndrangheta», in cui figurano anche L’italia s’è desta, Panenostro e Salve Reggina!; tutte storie verosimili e tutte storie coraggiose, che con il pretesto di tematiche di forte attualità riprese dalla cronaca quotidiana, raccontano una Calabria e un Paese marcio di illegalità.
Ficcasoldi è il nome con il quale vengono chiamati i giocatori assidui utilizzati dalla criminalità, per ripulire i propri soldi sporchi, paradossalmente o per contrappasso dantesco, attraverso le slot machines, le stesse da cui questa storia prende spunto.
Ficcasoldi si assume la bega e l’incarico di denunciare un fenomeno che nel nostro Paese genera un preoccupante numero di ludopatici, che arrivano a indebitarsi fino alla morte, fino alla alienazione totale da una vita normale, al solo scopo di permettere allo Stato di far cassa.
Un giovane imprenditore, la cui attività è fallita, si ritrova per caso ad essere risucchiato dal vortice delle slot machines. La inerme volontà di combattere un vizio che si insinua nell’anima del protagonista, accanto alla cecità di una donna a lui vicina troppo impegnata a lavorare per mantenere entrambi, lo porteranno ad una assuefazione completa al gioco. Un vizio che cresce con lo spudorato consenso di un barista, che in tempo di crisi sceglie di accogliere nel suo bar le macchinette; solo in seguito si capirà che quello delle slot è un mercato parallelo, un business instaurato con il consenso e la pressione della ‘ndrangheta.
La presenza invasiva del gioco è sviluppata in modo grottesco. Una parete
interamente ricoperta di gratta e vinci di ogni tipo, e un susseguirsi a ritmi
costanti di spot pubblicitari con lo scopo di indurre al gioco con astuti
meccanismi linguistici «la tua responsabilità è giocare. Gioca con
responsabilità» e con una sana satira «più gratti meno prudi», sono espedienti scenici che, pur smitizzando e ridicolizzando, puntano l’indice contro il tacito consenso di Stato ad una malattia sociale, da cui lo Stato, incassa benefici.
In una Italia in cui il gioco d’azzardo, con tutte le sue enormi e svariate
contraddizioni, è legalizzato, Ficcasoldi si assume la bega e l’incarico di
denunciare un fenomeno che nel nostro Paese genera un preoccupante numero di ludopatici, che arrivano a indebitarsi fino alla morte, fino alla alienazione totale da una vita normale, al solo scopo di permettere allo Stato di far cassa.