by Renata Savo (18/11/2016)
In scena al Circolo Everest di Vimodrone, e da noi visto di recente in forma di studio, “La Bastarda” della Compagnia Ragli, spettacolo su una vittima-simbolo della lotta alla criminalità organizzata: Lea Garofalo
Nell’ultima intervista da noi pubblicata abbiamo fatto cenno alla Compagnia Ragli originaria di Cosenza, formatasi con Scena Verticale e fondata nel 2009 da Rosario Mastrota, Dalila Cozzolino e Andrea Cappadona, citandola, in generale, fra le realtà teatrali in crescita della Calabria.
Il nome della compagnia fa riferimento al verso dell’asino e, di riflesso, a un’«asinità astratta» evocata da Giordano Bruno nel sua Cabala del cavallo Pegaseo con l’aggiunta dell’Asino Cillenico, legato al tema della verità: sin dagli esordi, infatti, la compagnia ha portato in scena tematiche civili e sociali scomode (la trilogia composta da L’Italia s’è desta, Panenostro e Ficcasoldi) e le ha trasferite in un linguaggio contemporaneo che li ha subito richiamati all’attenzione nazionale.
Saranno in scena questa sera, 18 novembre, vicino Milano, a Vimodrone, presso il Circolo Everest, per una serata dedicata alle “Donne contro la violenza. Donne contro la mafia”, con La Bastarda. Una vita coraggiosa: spettacolo che abbiamo visto di recente sotto forma di studio all’interno dell’Istituto scolastico “Enzo Ferrari” di Roma, grazie all’associazione “daSud” che promuove la creazione di un’accademia dei diritti e dell’antimafia, progetto al quale la stessa Compagnia Ragli collabora.
Sappiamo, da lontano, che la Calabria è una terra su cui da tempo si abbattono pregiudizi di ogni sorta e che bisognerebbe lottare ogni giorno per sfatarli. Uno di questi consiste nel credere che sia impossibile riconoscere il male, e scansarlo, se porta il nostro stesso cognome. La storia di Lea Garofalo, vittima della ‘ndrangheta e della sua famiglia, non è però la solita storia di silenzi, ma quella di una Cassandra o di una Medea dei nostri giorni, la cui voce si è spenta per gridare il nome della verità senza essere creduta, subendo per amore lo scontro fino alla morte di persone a lei molto vicine e incontrando la morte ella stessa.
Lea Garofalo rappresenta oggi un duplice simbolo: un esempio per le donne vittime dei loro compagni, relegate al ruolo di “fimmina” e madre, e un’eroina per il coraggio dimostrato nella lotta alle mafie. Di questo simbolo si parla in Il coraggio di dire no. Lea Garofalo la donna che sfidò la ‘ndrangheta di Paolo De Chiara, e di questo simbolo si parla in La Bastarda della Compagnia Ragli, che grazie al libro e ad alcuni estratti dagli atti processuali riportati al suo interno, ricostruisce le fasi del caso di Lea Garofalo, riportandone gli episodi e il contesto che hanno condotto verso l’assassinio della donna avvenuto per mano di un sicario del suo ex convivente Carlo Cosco. Nasce così la drammaturgia di questo spettacolo: mescolando passaggi degli atti processuali al linguaggio quotidiano della terra calabrese, insieme a metafore ricercate e a una simbologia – visiva e sonora – eloquente.
Dalila Cozzolino, nei panni di Lea Garofalo, è più che credibile, entra facilmente in empatia con gli spettatori. In scena, la sua minuta figura viene ritratta nel suo contesto di origine: si vede giovane fanciulla sognatrice, piena di nobili ambizioni, donna libera; ma presto deve scontrarsi con un destino già scritto, imposto dalle figure maschili che ha intorno, il fratello (Andrea Cappadona) e il suo compagno (Rosario Mastrota). Interessante, la scelta drammaturgica di smorzare la drammaticità della “cronaca” da Verbatim Theatre, con il personaggio del sicario interpretato da Antonio Monsellato, una sorta di fool di shakespeariana memoria, la cui performance è stati infatti ben accolta dal pubblico dell’istituto scolastico, giovani spettatori attenti, curiosi e ricettivi.
Proprio alla luce di questa positiva ricezione, sentiamo di sottolineare l’importanza del teatro nelle scuole come strumento di educazione ai valori civili. Spettacoli come questo sono fondamentali, indispensabili, non solo perché capaci di raccontare la realtà, uno spigoloso presente, senza “strizzatine d’occhio” o l’utilizzo di una facile, banale o fastidiosa retorica, ma perché ci ricordano che ogni azione, una qualsiasi azione, contro la criminalità organizzata è un «seme» che se coltivato oggi domani diventerà una «pianta» di cui saranno i nostri posteri, la società che verrà, a raccogliere i frutti.